Parlare
di Berlinguer non è semplice e non lo è perché la sua grandezza, le sue parole,
i suoi gesti, ma anche l’umanità e la grande semplicità con cui è riuscito a
diventare un punto di riferimento per noi uomini e donne di sinistra e, in
generale, della politica italiana (dato che gli avversari politici, loro
malgrado, hanno dovuto riconoscerne il valore), il suo essere un uomo, un
compagno, dicono già tutto.
Tanti,
tantissimi di voi hanno vissuto Enrico ma io, che sono nato nel 1989, non ho
avuto la stessa fortuna: ho dovuto e voluto leggere le sue frasi, ho voluto
leggere le opinioni di chi lo ha potuto vivere sia da militante del PCI sia da
competitor politico; ho voluto ascoltare i suoi discorsi; ho potuto, grazie
allo splendido lavoro del nostro Walter Veltroni, vedere questo documentario e
l’ho fatto più volte perché di osservare e di imparare da un grande uomo non si
può e non si deve mai essere stanchi.
Non
ve lo nascondo: ho pianto a vedere quei funerali, ho pianto di fronte alla
sofferenza di quel 7 giugno del 1984… ho pianto perché ho visto dove la forza
della passione e delle idee possa portare e ho pianto perché ho paura che, con
grande probabilità, mai più nessuno potrà regalarci queste emozioni, potrà
insegnarci così tanto.
Ebbene
il Segretario ci ha lasciati 30 anni fa… in questi 3 decenni è caduto il muro
di Berlino e con esso i due schieramenti della Guerra Fredda; è caduta l’URSS e
dal PCUS sono emersi uno El’Cin, lontano dal concetto di socialismo, e un Putin
che ha mantenuto del passato solo la matrice propria del FSB; in 30 anni
abbiamo vissuto la globalizzazione, la post-globalizzazione e abbiamo visto che
pian piano le dinamiche economiche sono diventate ciò che detta i tempi della
politica e non il contrario; nonostante ciò, in questi tre decenni, non ci hanno lasciato
le sue parole… parole importanti di cui noi giovani dobbiamo necessariamente e
orgogliosamente essere portatori.
Noi
giovani, soprattutto noi giovani che militiamo nel PD, un partito che nasce
proprio sulla scorta del progressismo e della necessità di interpretare
dinamicamente le esigenze della politica e dunque della società, cosa che
Berlinguer ha portato avanti con forza nella sua vita, abbiamo il dovere morale
di riportare i valori che si sono persi: valori smarriti non solo per la
vittoria di Craxi o per i Governi Berlusconi, ma perché tutti noi abbiamo
compartecipato a creare un sistema malato, incapace di mettere al centro quei
valori democratici e morali che invece il PCI, negli anni di Berlinguer, portò
avanti senza paura, mostrando la grandezza e la maturità della sinistra
italiana.
Dobbiamo
farlo noi giovani che viviamo un sistema “turbo-capitalistico” che spesso viene
utilizzato come concetto frenante in termini di rimessa al centro dell’azione
politica dei valori del socialismo e della democrazia.
Dobbiamo
farlo noi giovani che ci ritroviamo in un sistema in cui sembra che il concetto
di diritti e quello di privilegi abbiano il medesimo significato e in cui,
dunque, parlare della giustizia sociale di cui Berlinguer si fece portatore
attivo (subendo anche la pena carceraria) diventa sempre più difficile e
utopico.
Tutto
questo per alcuni significa tornare indietro, per me significa semplicemente andare
avanti in maniera diversa.
Cosa
ci insegna Enrico Berliguer?
Inutile
ribadire quanto il documentario ci abbia già mostrato: progressismo, laicità e
non chiusura verso la religione, compromesso inteso come progetto politico
lungimirante e apertura al dialogo verso le altre forze politiche, una
antesignana visione dell’Europa che, facendo riferimento all’inizio degli anni
’80, pur essendo composta da soli 10 Stati, pur vivendo ancora sulla scorta dei
Trattati di Roma del ’57 e pur avendo conosciuto solo nel 1979 le elezioni
dirette del Parlamento Europeo, per il nostro Segretario, era già il baricentro
imprescindibile di una politica globale che stava entrando necessariamente in
una fase nuova.
Berlinguer,
soprattutto, ci insegna che il comunismo non era quello che in tanti, troppi, fanno
coincidere con l’ideale sovietico, ma era un ideale che parlava di un mondo
libero dallo sfruttamento e dall’oppressione e che vedeva nel lavoro un
sinonimo di dignità, autorealizzazione e, appunto, libertà.
Concetti
che devono necessariamente essere ancora nostri.
Per
me, dire Berlinguer equivale a dire
VISIONE.
Quanto
è importante conoscerlo per noi giovani? La risposta, ovviamente, è: TANTO.
Parto da Berlinguer e i giovani: un rapporto
forte fin dall’inizio della carriera di Enrico che già nel 1943 divenne
Segretario della Sezione giovanile di Sassari.
Nel 1944, dopo che il padre gli presentò
Palmiro Togliatti (compagno di scuola di Mario Berlinguer) proprio a Salerno,
fece una prima esperienza da funzionario dirigente del lavoro giovanile
nella Federazione romana del PCI.
Nel 1949 divenne segretario della rinata Federazione Giovanile Comunista Italiana, fino al 1956
e l’anno successivo, addirittura, divenne segretario della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica, l'associazione internazionale dei giovani comunisti.
Cito un discorso eccezionale tenuto nell’ Aprile del 1982 alla
Manifestazione giovanile per la Pace a Milano:
“Se
i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano
con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato
sul privilegio e sull’ingiustizia.
***
La
prima, essenziale, semplice verità che va ricordata a tutti i giovani è che se
la politica non la faranno loro, essa rimarrà appannaggio degli altri, mentre
sono loro, i giovani, i quali hanno l’interesse fondamentale a costruire il
proprio futuro e innanzitutto a garantire che un futuro vi sia…… “
Berlinguer
legava direttamente il ruolo dei giovani alla questione morale: per lui
erano i giovani a rappresentare la speranza di uscire da quella situazione;
erano i giovani coloro che dovevano rendersi artefici del cambiamento e che
dovevano farsi carico di compiere quella che per il Segretario era la Riforma
delle Riforme: riportare moralità nella politica.
Riportare i partiti a fare politica, questo era l’obiettivo:
nel 1981 disse chiaramente:
“politica si faceva nel ’45, nel ’48 e
ancora negli anni’50 e sin verso la fine degli anni ’60. grandi dibattiti,
grandi scontri di idee e, certo, anche di interessi corposi, ma illuminati da
prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene
comune….. soprattutto c’era lo sforzo di capire la realta’ del paese e di
interpretarla”. Aggiunse
poi: “I partiti di oggi (era l’81) sono macchine di potere e di clientela:
scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società delle
gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile,
zero“…. Sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un
“boss” e dei “sotto-boss”. “Tutto è lottizzato e spartito o si vorrebbe
lottizzare e spartire”.
Berlinguer rispondeva a questo stato delle cose
propagandando la necessità dell’abbattimento del privilegio, del coinvolgimento
e la tutela del cittadino, la necessità di premiare competenze, professionalità
e merito per far crescere realmente la cosa pubblica.
In una parola parlava di moralità nelle scelte
e nelle azioni; parlava della necessità di mettere in atto i valori e i
principi della Costituzione.
A 30 anni di distanza, da giovane, posso dire
che il compito che Berlinguer aveva assegnato ai giovani del suo tempo non è stato
portato a termine e questo mette sulle nostre spalle il dovere di riuscire.
Le sue sono parole
attuali o comunque attualizzabili, ripeto, per tanti motivi: perché
abbiamo forse perso del tutto la definizione di Politica (con la P maiuscola); perché
oggi la mancanza di meritocrazia genera disillusione e quest’ultima porta a non
avere prospettive o forza di immaginare un futuro.
Viviamo nella corruzione e vediamo che il male,
la “mentalità mafia” che caratterizza il paese, diviene sempre più endemico e
che, in tutto ciò, la politica si dimostra incapace di creare condizioni di lungo periodo
che rendano inaccettabile scendere a compromessi.
Avremmo bisogno di una politica che sappia
tutelare i cittadini che rappresenta e non metterli in condizioni surreali e
disperate per cui la corruzione e la mafia diventano l’unica ancora di
salvataggio e, invece, ci ritroviamo una politica che ragiona di poltrone, di società
partecipate, di liste elettorali preconfezionate, del mantenimento dello status
quo della “casta”…
Viviamo una politica che è
il culmine di tutte le paure nutrite da Berlinguer e la cosa più terribile, a
parere mio, è che se la politica è lo specchio della società, allora significa
che la società ha raggiunto livelli così bassi che le ragioni di questa situazione
hanno radici così profonde da non essere più rintracciabili.
Una politica, insomma, che
ha smarrito sé stessa e noi giovani, oggi, ci troviamo schiacciati in una
realtà che sa mettere al centro solo le politiche monetarie ed economiche e che
relaziona tutto allo spread e alla necessità di politiche di austerità.
Ma è austerità strozzare i cittadini per fare
cassa? E’ austerità bloccare lo sviluppo per necessità indotte dalla situazione
economica? E’ austerità o l’austerità è un concetto che viene strumentalizzato
e che viene abusato per farci mettere in testa che se non si parla di debiti e
pareggi di bilancio, ma si parla di diritti, parità, welfare e politiche
sociali allora si stia parlando di temi di minor rilievo?
Io credo la seconda e anche qui la lettura che
Berlinguer ci lascia è qualcosa di sensazionale.
Era il 15 gennaio del 1977, Teatro Eliseo di
Roma. Il Segretario parla di austerità e la definisce OCCASIONE.
“L’austerità non è oggi un mero strumento
di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà
temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei
vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità
viene concepita e presentata dai gruppi dominanti delle forze politiche
conservatrici.
Per noi l’austerità è il mezzo per
contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è
entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema
i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione dei
particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato…..
L’austerità è lotta effettiva contro il
dato esistente … e al tempo stesso, premessa, condizione materiale per avviare
il cambiamento…
Può essere usata o come strumento di
depressione economica, di repressione politica……. Oppure come occasione per uno
sviluppo economico e sociale nuovo, per un rigoroso risanamento dello Stato… in
una parola: come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le
sue energie oggi mortificate, disperse e sprecate”.
Anche qui Berlinguer, con una capacità di analisi senza
eguali, lascia tanto a noi giovani che abbiamo di fronte la nuova crisi e la
nuova austerità: il Segretario ci fa capire che essa può essere nuovo inizio e
non fine; ci spinge a ideare nuove politiche di ampio respiro che diano
possibilità di dare sfogo alla capacità,alla voglia e alla creatività degli
italiani. L’Italia poteva e può, doveva e deve ripartire da se stessa, dalle sue
potenzialità: e quale potenzialità migliore se non i giovani? Quei giovani che
non accedendo al credito, non avevo incentivi all’auto-imprenditorialità, non
trovando accesso nel mondo del lavoro, si trovano schiacciati tra un aut-aut
che vede da una parte la necessità di avere spinte per andare avanti e, dall’altra, la
fuga da questo paese: sempre di più prevale la seconda opzione e tanti giovani
stanno andando a dare qualità e forza ad altri paesi che meglio reagiscono alla
crisi.
Per raggiungere tutto questo
è necessario rivedere il sistema di sviluppo interno e quali manovre economiche
adottare: in questo caso è interessante attualizzare la concezione di
uguaglianza del Segretario.
Per farlo potremmo citare Stiglitz, Premio
Nobel per l’economia nel 2001, che nell’ultimo
libro “The Price of Inequality” afferma chiaramente:
“E' la diseguaglianza il vero killer del
Pil. Nei paesi dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più
poveri il Prodotto interno lordo segna il passo e, a volte precipita. Nelle
nazioni dove si estende una grande middle class si affaccia invece la
prosperità”.
La teoria economica di
Stiglitz è un vero modello economico che,
in breve, si fonda sul meccanismo della c.d. "propensione al consumo": i
ricchi ce l'hanno più bassa del ceto medio e, dunque, se la distribuzione del
reddito li favorisce, lo shopping, contrariamente a quanto si potrebbe pensare
intuitivamente, si deprime.
E' invece il ceto medio a consumare quasi tutto quello
che ha in tasca e a spingere Pil ed economia, quando la distribuzione del
reddito lo favorisce.
Tutto questo non per fare una mini-lezione di
macroeconomia, ma per dimostrare come le battaglie lanciate dal Segretario
siano ancora attuali, aperte e dunque necessariamente da combattere e da
vincere.
Ma l’eredità di Berlinguer non finisce qui: Enrico, infatti,
che utilizza l’ultimo filo di voce di fronte alla folla gremita di Padova,
riesce con forza a farci capire quanto sia fondamentale essere parte attiva
della vita politica. Il suo ultimo sforzo, uno sforzo molto
più grande del suo corpo esile, dimostra che noi abbiamo il dovere di spendere
la stessa forza e la medesima energia per fare politica e per farla in maniera
diversa e sempre migliore.
Il Segretario resta un esempio che deve vivere dentro ciascuno di noi.
Ci lascia con una missione: dare forza ad una causa, la nostra, “ la causa
della pace, della libertà, del lavoro, del progresso…” , e quindi la causa che
prevede l’attuazione fattiva di quei principi costituzionali che non devono rimanere
soltanto un insieme di belle parole.
Una missione difficile che dobbiamo compiere per noi, per il
nostro futuro, per il paese; dobbiamo compierla per e nel suo ricordo, il
ricordo di un uomo eterno, di una delle pagine più rare della storia della politica.
Non è finita la politica è cambiato il mondo e con esso la
politica che è e deve essere il primo riflesso della società: ma se come per
Berlinguer, non è ancora finita la passione, allora dobbiamo tornare a fare
politica e farla seriamente e moralmente.
GRAZIE.