martedì 19 novembre 2013

NO AL FEMMINICIDIO!!! IL PENSIERO DEI NOSTRI COMPAGNI E DELLE NOSTRE COMPAGNE DELLA VAL DI MAGRA!


Amare, lottare, morire...”


"Sangue mio, sangue di alba, sangue di luna tagliata a metà, sangue del silenzio".
Susana Chávez



C’è un regno tutto tuo
che abito la notte
e le donne che stanno lì con te
son tante, amica mia,
sono enigmi di dolore
che noi uomini non scioglieremo mai.
Come bruciano le lacrime
come sembrano infinite
nessuno vede le ferite
che portate dentro voi.
Nella pioggia di Dio
qualche volta si annega
ma si puliscono i ricordi
prima che sia troppo tardi.
Guarda il sole quando scende
ed accende d’oro e porpora il mare
lo splendore è in voi
non svanisce mai
perché sapete che può ritornare il sole.
E se passa il temporale
siete giunchi ed il vento vi piega
ancor più forti voi delle querce e poi
anche il male non può farvi del male.
Una stampella d’oro
per arrivare al cielo
le donne inseguono l’amore.
Qualche volta, amica mia,
ti sembra quasi di volare
ma gli uomini non sono angeli.
Voi piangete al loro posto
per questo vi hanno scelto
e nascondete il volto
perché il dolore splende.
Un mistero che mai
riusciremo a capire
se nella vita ci si perde
non finirà la musica.
Guarda il sole quando scende
ed accende d’oro e porpora il mare
lo splendore è in voi
non svanisce mai
perché sapete che può ritornare il sole
dopo il buio ancora il sole.
E se passa il temporale
siete prime a ritrovare la voce
sempre regine voi
luce e inferno e poi
anche il male non può farvi del male.

(Il regno delle donne -
Alda Merini)


Il femmicidio e il femminicidio.
Usato sin dall'inizio del XIX secolo per indicare gli omicidi di donne, la parola femmicidio ricompare negli slogan delle femministe negli anni Settanta, e poi nel 1992 quando la studiosa Diana Russell la utilizza nei suoi libri per parlare della forma estrema di violenza da parte dell'uomo contro la donna “perché donna”. Nel 2006 la parlamentare femminista messicana Marcela Lagarde conia la versione femminicidio, di cui si serve per definire non sola la forma più estrema, ma anche tutte le forme di discriminazione e violenza di genere che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà non soltanto fisicamente, ma anche nella loro dimensione psicologica, nella socialità, nella partecipazione alla vita pubblica.

Colpisci una donna, colpisci la vita.

Sono donne di tutte le età, di vari ceti sociali, abitanti in diverse parti del Paese. Le loro morti differiscono solo per le modalità della loro uccisione e per le vittime collaterali che le accompagnano ma tutte hanno in comune, salvo una minoranza, il fatto che sono state uccise da uomini che hanno avuto con loro relazioni affettive, sentimentali, matrimoniali o parentali a cui si sono ribellate. Ed è proprio questo il nodo della questione: le donne vengono uccise perché considerate oggetti di proprietà. E nel momento in cui cercano di spezzare questo legame, perché vogliono un'altra vita, scatta la furia. Insomma c'è chi dice di amarle e poi le priva della vita, come fossero bestie che non hanno diritto di scelta.
Ci sono però altre vittime del femminicidio. Vittime di cui quasi nessuno parla mai, travolti dall'orrore di una violenza che confonde l'amore con il possesso. Vittime che non sono sotto i riflettori, perché minorenni. Ma proprio per questo più a rischio. I bambini mai nati, quelli uccisi insieme alle proprie mamme, altri che con i lori piccoli occhi hanno avuto la sventura di assistere all'omicidio della figura più importante e tutti quelli che sono costretti a sopravvivere senza la persona che gli ha dato la vita.


Vite spezzate, vite cancellate ancora quante?

Nel 2012 si sono contate ben 124 donne uccise a causa della violenza di genere, cui fanno spalla altri 47 tentati omicidi. Dall'inizio del 2013 ad oggi invece si contano più di 100 vittime. Una ogni due giorni. Ogni giorno ad orrore si aggiunge orrore.
Più di cento nomi e cento tragiche storie finite nel sangue, donne uccise da amori sbagliati e malati. Cento storie di morte che puntano il dito contro una società che in essa esplode in tutta la sua debolezza e il suo precario equilibrio.
Non esiste in Italia un osservatorio nazionale sul femminicidio come in altri paesi, ma i dati vengono raccolti da associazioni e gruppi di donne basandosi sulle notizie riproposte dai mass-media. Tale metodologia fa supporre una forte sottostima dei dati in quanto solo una parte degli omicidi vengono riportati dalla stampa.

Qui di seguito sono riportati i nomi di alcune vittime del 2013, con le loro età e le modalità con cui sono state uccise:
    Annunziata, 78 Anni
    Accoltellata dal marito nel settembre 2012 è morta dopo quattro mesi di coma.
    - Anna Francesca, 52 anni
    Uccisa dal compagno che aveva denunciato ai carabinieri per ingiurie, percosse e per violenza fisica e psicologica.
    - Maddalena, 63 anni - Barbara , 42 anni
    Uccise nel sonno a martellate e coltellate dal marito e padre che ha motivato con: “quando io sarò morto cosa sarebbe stato di loro?”
    - Carolina , 14 anni
    Si è lanciata dalla finestra di casa. Si ipotizza istigazione al suicidio – era perseguitata da un branco su facebook.
    - Liliana, 65 anni
    Uccisa dal compagno 68enne che le ha dato fuoco nell’ascensore dopo averla cosparsa di benzina al termine dell’ennesima lite.
    - Hrieta, 36 anni
    Freddata con un colpo di pistola vicino all’orecchio dall’ex marito.
    - Antonia, 46 anni
    Massacrata a coltellate dall’ex convivente, per gelosia.
    - Donika, 47 anni
    Uccisa con 4 colpi di pistola dal convivente.
    - Franca, 51 anni
    Uccisa con un colpo di fucile a pallini dal suo amante, che poi si è suicidato.
    - Giuseppina, 87 anni
    Uccisa dal marito a martellate.
    - Olayemi , 24 anni
    Bruciata viva dall’ex fidanzato di una amica mentre cercava di difenderla.
    - Bruna, 75 anni
    Uccisa dal marito a martellate in testa.
    - Giuseppina, 52 anni
    Morta dopo tre giorni di agonia, investita e incendiata dal marito.
    - Jamila, 30 anni
    Il marito l’ha uccisa con una coltellata al cuore e poi ha portato via i due bambini (2 anni-13 mesi) – Jamila si era rivolta più volte ai carabinieri in passato.
    - Giuseppina, 81 anni
    Uccisa dal marito perché era malata.
    - Shedjie, 38 anni
    Uccisa a colpi di mattarello dal marito (reo-confesso – arrestato).
    - Vivian, 24 anni
    Trovata con cranio fracassato vicino a linea ferroviaria (si indaga in attesa autopsia).
    - Denise, 42 anni
    è stata uccisa con corpo contundente forse dal marito che è già stato fermato.
    - Lucelly Molina, 32 anni
    Di nazionalità colombiana – trovata nel bagno con la testa spaccata da un oggetto (uccisa da ignoti).
    - Adriana, 79 anni
    Uccisa dal marito nel sonno con un colpo di baionetta alla gola (perché malata di Alzheimer).
    - Egidia, 68 anni
    Uccisa dal marito con arma da fuoco.
    - Daniela, 46 anni e Margherita, 61 anni
    Uccise sul posto di lavoro da un imprenditore cui era stato negato finanziamento.
    - Marilena, 30 anni
    Uccisa dalla compagna a colpi di pistola.
    - Maria Carmela, 70 anni
    Uccisa a bastonate dall'ex genero (ferita anche la figlia).
    - Maria, 57 anni
    Deceduta per un colpo alla testa – l’ex marito si è costituito.
    - Francesca, 56 anni e Martina, 19 anni
    Madre e figlia sgozzate dall’uomo (reo confesso) con cui la madre aveva una relazione.
    - Mihaela, 25 anni
    Dilaniata da molteplici coltellate – ritrovata dal fidanzato e due amici.
    - Adela Simona, 36 anni
    Strangolata dal compagno che voleva lasciare.
    - Denise, 22 anni
    Uccisa con premeditazione con un colpo di pistola alla testa dall’ex-fidanzato che poi si è suicidato, perché “non poteva vivere senza di lei”.
    - Florentina, 19 anni
    Uccisa a coltellate e ritrovata in un sacco.
    - Michela, 41 anni
    Uccisa dall’ex-marito 42enne (guardia giurata) per strada, che le ha sparato in un inseguimento con l’auto. E dopo averla uccisa ha tentato il suicidio.
    - Maduri, 42 anni
    Morta nell’incendio della sua casa - aveva le mani e i piedi legati.
    -
    Ilaria, 19 anni
    Il suo corpo seminudo giaceva sotto un albero. Ilaria è stata strangolata, forse durante un tentativo di violenza.
    - Alessandra, 30 anni
    Aggredita e uccisa a coltellate, colpita al collo e al braccio. Era vicino al suo scooter e forse si era fermata per parlare con il suo assassino. L’ex fidanzato è stato fermato, era già stato condannato a 18 anni per omicidio volontario nel 1990.
    - Chiara, 27 anni
uccisa nel suo appartamento dal compagno, guardia giurata, prima le ha sparato e poi si è ucciso. Avevano un figlio, che al momento del delitto era a scuola.
- Maria, 55 anni e Letizia, 19 anni
Maria, imprenditrice, vicesindaca e assessora uccisa, come la figlia Letizia (e il figlio) con un
colpo di pistola alla testa dal marito e padre.
    Immacolata, 53 anni
    Morta in seguito alle lesioni riportate a causa delle percosse subite dal marito.
    - Sofia, 23 anni
    È stata accoltellata cinque volte e lasciata in un noccioleto, con l’arma (un coltello da cucina) ancora conficcata nella schiena.
    - Rita, 47 anni
    Scomparsa e ritrovata cadavere nel fiume Ledra.
    - Mihaela, 35 anni
    uccisa a colpi d'ascia sul cranio dall'ex marito.
    - Giuseppina, 88 anni
    Uccisa per strangolamento dal figlio.
    - Henryka, 37 anni
    Coinquilina di Mihaela, strangolata. L'assassinio di entrambe si è lanciato sotto il treno in corsa, morendo sfracellato.
    - Silvana, 49 anni
    Uccisa per gelosia, con un colpo di pistola alla testa, dal marito che poi si è suicidato.
    - Angelica, 35 anni
    Uccisa con dieci coltellate dall'ex convivente che non si era rassegnato alla fine del rapporto.
    - Fabiana, 15 anni
    Accoltellata e bruciata viva dal fidanzatino di 17 anni per gelosia.
    - Sandita, 38 anni
    Uccisa dal marito, per strada, sgozzata con due coltellate alla gola.
    - Anna, 52 anni
    Morta a causa di violentissime percosse alla testa, al viso e al corpo. Arrestato il figlio Ciro di 28 anni reo confesso. La madre si era rifiutata di obbedire alla sua richiesta di portargli un bicchiere d'acqua.
    - Giovanna, 53 anni
    Insegnante, uccisa con cinque colpi di pistola da un bidello della sua scuola che si era invaghito di lei (che non se ne era neppure accorta). L'assassino ha confessato di aver premeditato il delitto perché "colpito dalla sua indifferenza".
    - Olga, 62 anni
    Sfigurata e uccisa (circa due giorni prima del ritrovamento) con colpi di spranga alla testa e al volto e il corpo gettato in una scarpata dentro uno scatolone per frigoriferi. Ricercato il marito sposato un anno fa.
    - Irma, 33 anni
    uccisa a coltellate dal marito (reo confesso) davanti alle due figlie di 8 e 10 anni.
    - Samanta, 38 anni
    la scomparsa denunciata il 3 aprile del 2012, il suo corpo è stato ritrovato avvolto in un lenzuolo e una busta di plastica per rifiuti, murato nello scantinato della casa dell’ex convivente.
    -
    Raffaella, 41 anni
    Uccisa a colpi di arma da fuoco dal marito.
    - Giovanna, 60 anni
    Uccisa per strada dall’ex, a colpi di pistola.
    - Olena, 50 anni
    Sgozzata per gelosia dal compagno nella sua casa poi data alle fiamme.
    - Silvia, 39 anni
    Scomparsa e ritrovata morta, col cranio sfondato, nel freezer di casa, avvolta in un sacco di plastica – uccisa dal convivente.
    - Marta, 50 anni
    Prima colpita con un pugno e poi uccisa a colpi di arma da fuoco dall'ex marito.
    - Tiziana, 36 anni
    uccisa dal marito dopo una lite con una coltellata al collo. Il bambino era in casa.
    - Rosi, 25 anni
    Uccisa a coltellate dall'ex convivente, fuggito e poi arrestato dalla polizia. Voleva ritornare con lei e al suo rifiuto l’ha uccisa davanti al figlio di due anni. Anche questo un delitto annunciato, più volte la donna ne aveva segnalato lo stalking..
    - Michelle, 21 anni
    Uccisa dal fidanzato a martellate e poi avvolta in un lenzuolo e nascosta sotto il letto. Movente, la gelosia.
    - Nicoletta, 55 anni
    Trovata dalla donna delle pulizie, che ha notato la porta d'ingresso aperta e all'interno, a terra, c'era il corpo della donna, con nastro adesivo sulla bocca.
    - Laura, 48 anni
    La sindaca di Cardano era stata ferita gravemente con due colpi di pistola, nell'esercizio delle sue funzioni, da un ex dipendente del comune.
    - Cristina, 38 anni
    Uccisa a colpi di pistola dall'ex marito che non accettava la separazione. Ucciso anche il compagno. La donna lo aveva denunciato per aggressione e violenza.
    - Erica, 43 anni
    Uccisa a colpi di pistola dall'ex marito che non aveva accettato la separazione e che poi si è suicidato.
    - Lucia, 31 anni
    Scomparsa e ritrovata morta nel garage dell'ex convivente.
    - Antonella, 48 anni
    Uccisa a colpi di arma da fuoco dall'ex che non accettava la separazione.
    -Maria Grazia, 38 anni
    Uccisa dal compagno.
    - Marilia Rodrigues Silva Martins, 29 anni
    29enne brasiliana trovata morta nel suo ufficio a Gambara, nel Bresciano. Incinta di tre mesi, ferita alla testa e traumi sul viso. Il procuratore di Brescia, Fabio, ha spiegato che l’assassino aveva la necessità di eliminare il problema rappresentato dal fatto di essere il padre del bambino. L'uomo aveva anche creato un falso account di mail per attribuire a un'altra persona la relazione con la ragazza.
    - Paola, 53 anni
    Psichiatra uccisa da un paziente con 28 coltellate sul posto di lavoro. I medici della struttura avevano chiesto una guardia giurata, ma il servizio non era stato concesso.
    - Rodika, 40 anni
    Deceduta in ospedale dopo un ricovero di sei giorni per le percosse ricevute dal convivente.
    - Lavinia Simona, 18 anni
    Il corpo nudo, morta per strangolamento. Attorno al collo aveva due fascette autobloccanti da elettricista. L'assassino ha abusato del corpo anche dopo la morte. Disposta l’autopsia per scoprire se sia stata anche stordita con l'etere.
    - Tatiana, 41 anni
    Violentata e uccisa, l'assassino ha bruciato il cadavere. Indagato un 21enne.
    - Maria Pia, 66 anni
    Uccisa a coltellate per strada, mentre andava al lavoro, dall'ex marito.
    - Monica, 40 anni
    Uccisa con un colpo di balestra dallo zio che poi si è suicidato.
    - Marta, 29 anni
    Strangolata e abbandonata nell'auto dall'ex fidanzato, che aveva lasciato da circa 4 mesi durante i quali era stata fatta oggetto di gravi molestie. Lo aveva anche dununciato per stalking.
    - Ilaria, 20 anni
    Ferita a colpi di pistola dal suo convivente, è deceduta in ospedale. La 20enne subiva da tempo angherie e percosse da parte del compagno ma non aveva mai presentato denuncia.
(fonte: UDI)


Prevenzione.

In questi ultimi mesi a livello nazionale è stato fatto molto sia come eventi di sensibilizzazione sia a livello giuridico come l'approvazione del nuovo decreto legge.
E' stato fatto molto si, ma la strada è ancora molto lunga, non si deve solo pensare alle pene, ma si deve cercare soprattutto di prevenire e di evitare altre vittime. Importante è stata quindi l'attivazione del 1522 numero di pubblica utilità, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità, che offre un servizio di accoglienza telefonica multilingue e attivo 24h/24 per 365 giorni l'anno rivolto alle vittime di ogni forma di violenza. E' un servizio che ha come scopo quello di estendere e rafforzare questa capacità di accoglienza e sostegno nei confronti delle vittime di violenza di genere e stalking. Importante e fondamentale sarebbe però essere “vicini” e “accanto”, nel vero senso della parola, a queste donne. Si dovrebbe cercare di creare quindi una rete capillare di sportelli d' ascolto e centri di prima accoglienza nei vari territori del nostro Paese. A livello nazionale si dovrebbe cercare di creare linee guida e regole semplici, chiare e uguali per cercare di uniformare questa rete. Sarebbe anche utile aiutare gli uomini. Come esistono i centri di disintossicazione per droga, alcool e gioco si potrebbe anche parlare di quelli che potrebbe aiutare gli uomini a disintossicarsi dalla violenza sulle donne. E' partito un progetto pilota a Modena. Si chiama "Liberiamoci dalla violenza", il progetto è nato circa un anno fa sulla scia di un esperimento effettuato in Norvegia.


L'indifferenza uccide.

Fino ad adesso abbiamo solo parlato di femminicidio nel suo ultimo atto, ma in realtà prima di arrivare a questo punto c'è un lungo percorso a volte di anni, dove spesso le donne subiscono ogni giorno violenza di diverso genere: fisica e psicologica. Nel 2006 è stata condotta la prima vera ricerca sulla violenza contro le donne mostrando una realtà sommersa e feroce. Dieci milioni di italiane confessarono di aver subito violenza fisica, sessuale o psicologica nella stragrande maggioranza dei casi per mano degli uomini di famiglia. La violenza di genere non è raptus né la manifestazione di una patologia. Le ricerche sulla violenza di genere ci dicono che questo si esprime con una escalation di episodi sempre più gravi, non è mai episodica e spessissimo i suoi autori sono lucidissimi. Il 30% delle donne ha dichiarato che non aveva mai parlato prima con nessuno e soltanto il 18% considerava quanto accaduto un reato e questo dato è in linea con le statistiche di altri paesi, le donne stentano di riconoscere le violenza del proprio partner. Sappiamo bene che molte sopportano perché sperano nel cambiamento del proprio compagno. Altre perché pensano che sia meglio per i figli avere una figura paterna.



Libere di amare, felici di vivere.

Davanti al silenzio che diventa complicità con i violenti e gli assassini un gruppo di donne di Sarzana ha deciso di creare l'Associazione “Vittoria” che si pone il duplice obiettivo di lavorare sul territorio da una parte per la sensibilizzazione culturale sulla violenza di genere, dall'altra per dare aiuto concreto e sostegno a tutte le donne che in qualche modo si sentono in una situazione di difficoltà.
Molte sono le iniziative organizzate dall'Associazione Vittoria che si sono state svolte a Sarzana e tante altre sono già in programma.
Il 5 Ottobre 2013 si è svolta l'installazione “Scarpe Rosse” . Le scarpe rosse lasciate sulla scalinata di Piazza Cesare Battisti non volevano essere come spesso è accaduto associate a simbolo erotico-sessuali ma sono mocassini, scarpe da ginnastica, col tacco, stivali, scarponi da lavoro a simboleggiare il cammino interrotto di tutte le vittime di violenza. Un cammino interrotto per morte fisica ma anche psicologica. Allo stesso tempo però le scarpe rosse simboleggiano la possibilità di camminare e di intraprendere un nuovo percorso con lo spirito, l'entusiasmo e la grinta rappresentate in maniera simbolica dal flash mob, che è stato eseguito lo stesso giorno e che ha come titolo “Break the chain” : Spezza la catena.
Il 9 Novembre, invece, verrà dedicato all'iniziativa “Posto Occupato”. E' un gesto concreto dedicato a tutte le donne vittima di violenza . Ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un ex, un amante decidesse di porre fine alla sua vita, occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana, nella società. Questo posto vogliamo riservarlo a loro affinché la quotidianità non la sommerga.



Noi Giovani democratici e il femminicidio.

Noi come Gruppo Giovani Democratici Val Di Magra ci impegneremo per continuare ad affrontare questa importante tematica e a dare un supporto concreto all'Associazione Vittoria partecipando in modo attivo anche alle loro iniziative.
Aderiremo alla campagna “Posto Occupato” andando ad occupare davanti alle nostre scuole una sedia per ricordare tutte quelle ragazze nostre coetanee che prima di morire occupavano un posto a scuola! E proprio a partire dalla scuola pensiamo sia necessario creare e intraprendere un vero percorso di educazione all'interno delle nostre strutture scolastiche. Ma da dove arriva tanta violenza?
“Non è una questione di genere. C’è una cultura che favorisce la violenza. Un bambino non nasce picchiatore o violentatore, ma lo diventa. Nel corso della storia gli uomini sono stati incoraggiati all’uso della violenza, anche se per natura non sono più violenti delle donne. Nella nostra società regna ancora la cultura dell’uomo-padrone, che porta avanti la famiglia. C’è chi pensa ’se amo, possiedo, quindi la mia donna è una mia proprietà’. E se l’uomo è convinto di questo principio, quando viene abbandonato uccide e spesso sente anche l’impulso a tentare il suicidio, perché non accetta di aver subito un torto, di essere stato vittima e non carnefice. Non accetta di riconoscere la sua debolezza nella società, rispetto alla volontà e alla forza di una donna”.



Spezza la catena”



Danzare per dire che le donne vogliono un mondo sicuro e libero da ogni oppressione, danzare per affermare che le donne non sono una proprietà, danzare per dire in un sol coro "vogliamo fermare gli abusi, il dolore, rompere le catene", danzare perché le donne sono forza, energia, danzare per prendere in carico il proprio destino.”
(Parole tratte dalla canzone Break the chain brano utilizzato per il FlashMob Internazionale One Billion Rising)


Irene Gruzza,
GD VAL DI MAGRA.

martedì 12 novembre 2013

EURO 2014!!

Il progetto EURO 2014 nasce su iniziativa del gruppo Giovani Democratici Toscana, con l’aiuto essenziale dell’Istituto Gramsci, ed è un progetto che ha come finalità quella di informare e sensibilizzare sui temi dell’Europa, in previsione delle elezioni europee che si svolgeranno nella Primavera del 2014.
Il percorso EURO 2014 si è fino ad oggi articolato in una serie di incontri e dibattiti ai quali hanno partecipato sia esponenti del mondo accademico, con docenti ed esperti delle Università di Firenze, Siena e Pisa, sia esponenti del mondo politico come Leonardo Domenici, ex sindaco di Firenze e oggi europarlamentare per il Partito Democratico.
Nei dibattiti sono stati toccati diversi temi che hanno analizzato la situazione europea attuale, le sue criticità e le possibili migliorie, dal punto di vista economico, istituzionale e storico/politico.
Scopo di questo documento è contribuire all’opera di sensibilizzazione e informazione sull’Europa.

Europa: confini e diversità culturali
Si può affermare a buon diritto che l’obiettivo a lungo termine dell’Europa sia quello di procedere con l’integrazione fino alla formazione di un'unica nazione europea.
Si può altresì affermare che la nascita di una nazione è impossibile fino a quando non esista a livello di popolazione l’idea o il sentimento di nazione europea. La nascita di questa idea è ostacolata fortemente dalle grandi differenze culturali esistenti in Europa in particolare per quelle esistenti tra lacosiddette Europa Occidentale e Europa Orientale. Si tratta di differenze che investono ogni ambito socio-culturale, a partire dalla storia più recente con una parte dell’Europa sotto l’influenza statunitense e l’altra sotto l’influenza sovietica con tutto ciò che consegue dal punto di vista dell’impostazione economica e dello sviluppo della società in generale. Ma sono anche differenze più risalenti nel tempo, con la religione cattolica-protestante predominante nell’Europa Occidentale e quella ortodossa nella parte Orientale.
Diverso è il modo in cui la storia viene insegnata nelle scuole, con personaggi che da una parte sono associati a pagine nere di storia, dall’altra sono considerati quasi eroi.
Una differenza esiste anche a livello mediatico con i media che sembrano considerare Europa solo quella costituita da Germania, Francia, Italia e “adiacenze” con un interesse scarso o nullo a tutti gli stati dell’Europa Orientale che pur fanno parte dell’UE.
Quest’ultimo punto ci porta anche a riflessioni più pratiche: nei primi anni 2000 il boom dei consensi in Austria di partiti di destra estrema portò ad una forte reazione da parte dell’Unione Europea; in anni più recenti il verificarsi di una situazione simile se non più grave in Ungheria non ha portato alla stessa reazione: è l’attuale debolezza europea oppure l’Ungheria è “meno Europa” dell’Austria? Per quanto a molti queste questioni possano sembrare di importanza secondaria la nascita del sentimento di nazione europea in tutti i popoli d’Europa potrebbe rappresentare la molla per far scattare a livello politico gli ingranaggi giusti per arrivare ad una maggiore unità europea, cosa che, come vedremo più avanti nel documento, avrebbe sicuramente enormi vantaggi economici e non solo.

Il PD e l’Europarlamento
Ad oggi il Partito Democratico costituisce un’anomalia all’interno dell’Europarlamento, in uno scenario dominato da grandi gruppi e partiti, in primis il Partito Popolare Europeo (PPE) e il Partito Socialista Europeo (PSE). Sono queste le due maggiori forze del parlamento europeo che rappresentano le due grandi anime politiche dell’Europa.
Da una parte troviamo il PPE, che nasce storicamente come il partito dell’alta borghesia europea di fede cattolica e protestante, oggi diventato la casa per tutti i partiti conservatori del continente rappresentando dunque l’area della destra e del centro destra.
Dall’altra parte troviamo il PSE che abbraccia tutti i partiti che in Europa affondano le proprie radici nel socialismo e nella socialdemocrazia e che rappresenta ad oggi tutto il fronte del centro sinistra e della sinistra moderata. In questo contesto il Partito Democratico si trova ad esistere come un’entità a se stante che agisce come un satellite del PSE, cioè lavora a stretto contatto con questo ma non ne fa parte. Si tratta di una situazione che comporta un grande svantaggio: il Partito Democratico può solo appoggiare le iniziative del Partito Socialista Europeo ma non ha voce all’interno del PSE stesso (si pensi alla recente scelta del PSE di proporre l’attuale presidente del parlamento europeo Martin Schulz come candidato unico alla guida della Commissione Europea: il PD ha potuto solo appoggiare la scelta ma non partecipare al dibattito interno al PSE che ha portato alla scelta di Martin Schulz).
In definitiva è una problematica che può e deve essere superata, anche perché sono molti i punti di contatto tra i due partiti in questione. Si è già parlato della stretta collaborazione tra PD e PSE favorita anche dalla formazione del Gruppo dell'Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo (S&D), il gruppo parlamentare che riunisce nell’europarlamento PSE e PD; sono poi numerosi i leader del nostro partito che si sono espressi a favore dell’adesione al PSE, senza poi considerare come un partito che in Italia ha la giusta ambizione di rappresentare la sinistra e il centro sinistra non possa non far parte del partito che rappresenta la stessa area a livello europeo.
                                                                        
Inadeguatezza di un sistema
All’interno del mondo globalizzato, che vede ormai come principali attori economici e militari nazioni di dimensioni continentali quali gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India eil Brasile, l’attuale sistema politico dell’Unione Europea mostra sempre di più limiti e inadeguatezze, poiché ancora troppo dipendente dalle politiche nazionali degli stati membri.
I problemi che l’Europa deve affrontare sono problemi globali.
Il modo in cui questi problemi vengono affrontati si rivela sempre più inadeguato, a causa di un sistema politico complesso e inefficiente e allo stesso tempo non abbastanza centralizzato e autorevole da imporre politiche comuni in tempi brevi.
In effetti, l’Unione Europea, per come è attualmente organizzata, limita già i Paesi membri per quanto riguarda la propria sovranità governativa; questa limitazione però non va a favore delle decisioni dell’Europarlamento o di un governo europeo comunemente eletto da tutti i cittadini europei, ma a favore dei Paesi considerati “più responsabili”. Ciò genera una subalternità dei centri di potere continentali incapace di governare processi globali nell’interesse comune.

I costi della divisione
La mancanza di un governo unitario forte, capace di generare sinergie tra i Paesi membri, genera oltre ai costi della politica, anche altri costi altrimenti evitabili. Tra questi: un costo economico, dovuto a inefficienze di produzione e di mercato; un costo sociale, dovuto all’insostenibilità del welfare universale, e all’insufficienza di meccanismi di retribuzione sovrannazionali; costi relativi alla sicurezza, assurdi in quanto inseriti in un sistema inefficiente in termini di spese militari e forze armate nazionali singolarmente inefficaci di fronte ad un conflitto armato moderno; un costo istituzionale, dovuto al crescente grado di sfiducia che gli europei nutrono nei confronti dell’UE; un costo in tema di ricerca,dovuto al duplicarsi dei costi della ricerca portando avanti progetti paralleli, identici e non coordinati sviluppati dai Paesi membri.

Necessità di una politica monetaria unica
Di fronte all’inefficacia dell’attuale sistema politico sovrannazionale europeo, ancora troppo dipendente dai governi nazionali, la risposta non deve essere quella di ritornare alle sovranità nazionali, ma rafforzare il governo e le istituzioni di Bruxelles, metterle in primo piano e subordinare ad esse tutti i governi e le istituzioni nazionali, arrivando - in definitiva - alla creazione di un governo federale europeo. Per riassumere in un unico concetto: occorre diventare da Unione Europea a Stati Uniti d’Europa.
La debolezza principale che caratterizza l’attuale sistema dell’Unione Europea è la presenza di un sistema di politica monetaria ambiguo e unico nel suo genere. L’euro viene, infatti, distribuito dalla banca centrale al tasso di inflazione europeo mentre i debiti pubblici nazionali vengono contratti ai tassi di interesse nazionali. Questi ultimi sono però tenuti alti a causa di scarse valutazioni delle agenzie di rating riguardo la probabilità di insolvenza degli stati contraenti.
Proprio i tassi di interesse troppo alti a livello nazionale sono la causa della progressiva paralisi dei sistemi di welfarenazionali che si trovano impossibilitati a contrarre debito pubblico per rilanciare l’economia locale e per far fronte ai disagi sociali. Gli alti tassi di interesse nazionali diventano essi stessi un fattore di moltiplicazione del debito pubblico, con il rischio di farlo accrescere fino a livelli insostenibili, generando così una crisi economica dagli esiti potenzialmente letali, non solo per il singolo paese o per l’Europa, ma per tutti coloro che possiedono ingenti quote di titoli non solvibili. Uno scenario questo che genererebbe disastri a catena sul teatro finanziario globale e una recessione dai caratteri apocalittici.
Questo difetto sistemico può essere corretto accentrando totalmente la politica monetaria nelle mani della BCE; questa soluzione permetterebbe così di contrarre debito pubblico a livello europeo con un tasso di interesse più basso e sostenibile, dovuto al maggiore grado di fiducia che le principali agenzie di rating nutrono nei confronti della Banca Centrale Europea. Successivamente il debito contratto verrebbe distribuito dalle istituzioni politiche europee agli enti locali pubblici e ai privati in deficit dei singoli stati, seguendo parametri espressi dall’Europarlamento, voce di tutti i cittadini dell’Unione.
Qualsiasi politica di welfare che prescinda da questo passaggio non può che risultare fasulla e chiunque la promuova lo fa per ignoranza o in malafede.
Quando negli anni ’90 si formulavano i parametri del Trattato di Maastricht e si progettava l’unione monetaria si dava per scontato che fosse solo il primo passo verso l’unione politica federale. Negli anni successivi all’entrata in vigore dell’Euro, a causa di un periodo di crescita che stava attraversando l’Europa e l’affermarsi di governi di destra conservatori e populisti nei principali Paesi dell’Unione Europea, si arrestò il processo di integrazione poiché i governi nazionali pensavano che in fondo la situazione andasse bene così com’era. La crisi del 2008 e i successivi attacchi speculativi sui debiti sovrani dei Paesi considerati strutturalmente deboli da parte delle principali banche mondiali, ha evidenziato quanto in realtà questo sistema di cose risulti fragile e inadeguato.

La soluzione è l’Austerity?
La politica di Austerity proposta da Angela Merkel riflette l’opinione pubblica di gran parte dei tedeschi e dei Paesi del nord Europa. In questi Paesi il concetto di debito è sinonimo di quello di colpa e non è concepibile che i Paesi “colpevoli" debbano ricevere i loro soldi senza prima avere espiato le proprie colpe tramite politiche di tagli della spesa pubblica definite di “lacrime e sangue”.
Questa politica è allo stesso tempo immorale e pericolosa.Immorale perché il governo tedesco non ha diritto di dettare la linea di politica interna ad altri Paesi europei ugualmente sovrani. Pericolosa per almeno due buone ragioni. I cittadini dei Paesi in deficit perderanno fiducia nei confronti delle Istituzioni Europee, rispolverando antichi rancori nei confronti della Germania. Questo provocherebbe un’ulteriore divisione nel continente favorendo il consolidarsi di partiti estremisti anti-europei di stampo populista, che rischierebbero di pregiudicare il progetto europeo creando forti tensioni all’interno degli stessi sistemi democratici nazionali. Inoltre la contrazione dei consumi andrebbe a ridurre le stesse esportazioni tedesche, perlopiù rivolte all’interno dei confini europei. Il risultato finale per la Germania sarebbe di generare una decrescita che colpirebbe l’Europa intera, compresa se stessa.
Con i capitali risparmiati grazie a sinergie di sviluppo economico e scientifico e con quelli ottenuti grazie ad una potenziale emissione di titoli di stato europei da parte della BCE stessa (i cosiddetti Euro-bond), il governo europeo avrebbe fondi sufficienti per attuare politiche economiche istituzionalistiche di sviluppo efficienti ed efficaci, se dirette da istituzioni bene organizzate referenti al governo e dotate di una notevole autorità presso gli enti e i governi dei singoli Paesi.
Si potrebbe addirittura assistere ad un nuovo miracolo economico capace di fare recuperare all’Europa la centralità internazionale persa con le due guerre mondiali.
L’Europa Federale potrebbe diventare abbastanza ricca da promuovere una politica estera capace di fare fronte ai problemi che la riguardano con maggiore autonomia ed incisività, aumentando il proprio potere contrattuale per le importazioni di gas e combustibili fossili. Questo consentirebbe inoltre di attuare politiche di investimento nei Paesi del terzo mondo da cui provengono la maggior parte dei flussi migratori migliorando le condizioni di vita dei popoli Paesi coinvolti, ottenendo un’espansione della nostra sfera di influenza politica nel mondo in modo del tutto pacifico e riducendo il flusso migratorio che non potrà essere assorbito in eterno.      

Inefficienza dell’attuale sistema istituzionale.
Appare evidente che l’Europa non funziona.
Non funziona, in particolare, perché non funziona da un punto di vista politico-istituzionale.
E’ vero, i vari trattati che si sono succeduti e che hanno caratterizzato la storia dell’integrazione europea hanno il merito di aver permesso di creare e regolare rapporti di varia natura tra i paesi che via via si riconoscevano nella Comunità (che col trattato di Maastricht del 1992 diventa “Unione”).
Tuttavia non sono riusciti a dotare la stessa Unione di un’efficiente sistema istituzionale.
A tal fine è stato stipulato nel 2007 il Trattato di Lisbona, con il desiderio, espresso nel Preambolo, «di completare il processo avviato dal trattato di Amsterdam e dal trattato di Nizza al fine di rafforzare l'efficienza e la legittimità democratica dell'Unione nonché di migliorare la coerenza della sua azione».
I fatti dimostrano, però, che si è ancora lontani dall’avverarsi di tale desiderio.
Dal punto di vista dei contenuti, in realtà, il Trattato di Lisbona dimostra di voler definire meglio i poteri delle istituzioni europee per rafforzarne l’efficienza e la legittimità.
Il Trattato recepisce, in particolare, gran parte delle innovazioni contenute nella famosa Costituzione Europea approvata nel 2004 e mai entrata in vigore per la bocciatura francese e olandese.
Così, ad esempio, specifica meglio le ripartizioni delle competenze tra Unione e Stati membri, distinguendo tra competenze esclusive, concorrenti e di sostegno; afferma il principio di sussidiarietà, in base al quale l’Unione interverrà solo se gli obiettivi che essa persegue non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri; introduce due procedure di revisione dei trattati (una ordinaria e una semplificata) e la possibilità di recedere dall’UE.
Soprattutto, inoltre, il Trattato di Lisbona modifica alcuni aspetti istituzionali.
In particolare, il Consiglio Europeo è annoverato per la prima volta tra le istituzioni dell’Unione, attribuendogli la funzione di organo di indirizzo politico e dotandolo di un Presidente eletto ogni due anni e mezzo dai Capi di Stato o di Governo degli Stati membri.
Ancora di difficile inquadramento è, all’interno del Consiglio, la figura dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, una sorta di Ministro degli Esteri dell’Unione.
Al di là di questi aspetti (apparentemente solo) tecnici, bisogna domandarsi se l’Europa, così come  è congeniata, funzioni o meno.
La risposta non può che essere negativa.
Troppe sono ancora, infatti, le questioni rimaste aperte e che impediscono all’Unione di porsi in modo chiaro e competitivo sulla scena internazionale.
Il quadro a livello istituzionale è molto complesso: ai tre “classici” organi, il Trattato di Lisbona ha aggiunto, come detto, il Consiglio Europeo, attribuendogli funzione di indirizzo politico.
Se aggiungiamo a ciò la grande importanza che viene data ai Parlamenti Nazionali (inseriti stabilmente nelle procedure legislative dell’Unione), otteniamo un quadro assai complicato.
Tale quadro, da una parte rende più ponderate e controllate le decisioni ma dall’altra delinea un sistema consociativo, idoneo più ad ostacolare che a facilitare queste decisioni.
Collegata a tale problematica – e non meno importante – è quella relativa al potere di rappresentanza in seno all’Unione: chi rappresenta l’Europa?
Il Presidente del Consiglio Europeo? O quello della Commissione Europea? E perché non l’Alto Rappresentante?
Questo aspetto non viene chiarito, ed è chiaramente sintomatico di quanto siamo ancora lontani da una vera e propria Unione, per la quale non basta l’affermazione di una personalità giuridica unica ma è necessario fare in modo che tale personalità giuridica possa essere esercitata.
Siffatta questione si riflette inevitabilmente sulla politica estera dell’Unione, non bastassero i problemi che in questa prospettiva crea la divergenza tra il testo del Trattato, che riconosce la soggettività internazionale dell’Unione e l’istituzione di una figura incaricata di gestire la politica estera comune, e quello della Dichiarazione annessa al Trattato, che contiene una serie di precisazioni in difesa delle prerogative statali, prevedendo che le disposizioni del Trattato non toccano responsabilità e poteri di ciascuno Stato membro nella formulazione e gestione della propria politica estera e non pregiudicano le sue relazioni con Paesi terzi e organizzazioni internazionali.

Quale Europa vogliamo?
Arriviamo, così, alla “questione delle questioni”, alla problematica principale, che sta alla base di tutto: quale Europa vogliamo?
La risposta a questa domanda può seguire due opposte direzioni: da un lato vi è l’idea di un’Europa come istituzione confederale, intergovernativa e prevalentemente (se non esclusivamente) dedita alle questioni economiche; dall’altro vi è l’idea di un’Europa politica (e quindi non solo economica) e federale.
La natura attuale dell’Europa non sceglie nettamente nessuna delle due strade, mescolando elementi federali e confederali, integrazione e cooperazione, metodo sovranazionale e intergovernativo.
Appare fondamentale, dunque, eliminare tale ambiguità, così da poter dare veramente un senso ed un obiettivo all’integrazione Europea.

Se la risposta alla domanda “quale Europa vogliamo?” è il presupposto per poter veramente costruire qualcosa di efficiente ed efficace, presupposto di tale presupposto è la consapevolezza di essere Europa (per poter “volere” ci vuole consapevolezza di ciò che si vuole!).
Allo stato attuale tale consapevolezza ancora è debole, ed è solo con essa che si potrà costruire un’Europa che davvero non sia solo una regione geografica ma che costituisca un soggetto unico a tutti gli effetti.
Insomma: o l’Europa la facciamo, e la facciamo davvero, oppure siamo destinati a scomparire, schiacciati dall’implacabile incedere della storia.

I delegati dei GD Carrara ad Euro 2014,
Yuri Ceragioli
Sirio Genovesi
Luca Lorenzini.

sabato 5 ottobre 2013

ED ECCO I NOSTRI COMPAGNI DELLA VAL DI MAGRA: BENVENUTI RAGAZZI!!

Con gioia noi, Giovani Democratici Carrara, annunciamo la nascita dei Giovani Democratici della Val di Magra con cui, ancora prima della formale costituzione, abbiamo iniziato un percorso di collaborazione costante sui temi e sulle attività.
Auguriamo al nostro Segretario, Clarke Ruggieri, di poter creare un grande percorso con e per i ragazzi e rinnoviamo il nostro impegno perchè la collaborazione non si esaurisca.

Come diciamo sempre:
AVANTI!INSIEME.

Ecco a voi il comunicato stampa del nuovo circolo:

 Alle ore 15 del 4 ottobre 2013 si è tenuto il congresso del Circolo GD Val di Magra. Alla riunione erano presenti il Segretario Provinciale dei Giovani Democratici di La Spezia, Riccardo Delucchi ed il Segretario Regionale, Andrea Grande. In tale data si è eletto il nuovo Segretario della Val di Magra, Clarke Ruggeri, all’unanimità, successivamente si è eletto il Direttivo in cui si contano 15 ragazzi che vanno dai 29 anni ai 16, Elena Alpinoli, Chiara Bernardini, Beatrice Casini, Michael Elisei, Kevin Ruggeri, Debora Amantia, Michela Arfanotii, Matteo Felici, Elia Sarpi, Mario Torre, Lia Mannucci, Irene Gruzza, Edoardo Castaldi, Davide Deste. Durante il Congresso il Segretario ha nominato altre quattro figure in suo supporto: Vice segretario, Umberto Raschi; tesoriere Michael Elisei; responsabile Enti Locali, Irene Gruzza; responsabile organizzazione, Lia Mannucci. Da oggi partono il lavori del nuovo gruppo dei Giovani Democratici, il gruppo coeso esprime voglia ed interesse per cambiare ed apportare idee e contributi nuovi sia al partito che all’intero territorio. Positiva è l’alta partecipazione dei giovani in un clima di disinteresse generale da parte dei cittadini e soprattutto di questa fascia d’età per la politica territoriale e nazionale. Gli eventi che attendono il gruppo sono molti e pluritematici, si affronterà il Congresso Nazionale del PD, si parlerà del rinnovo dei circoli territoriali, si affronteranno i problemi quotidiani della gente ascoltandoli e confrontandosi con le varie giunte comunali del territorio, con un lavoro sinergico di tutti i territori della Val di Magra. Il gruppo auspica una più ampia partecipazione degli iscritti al partito e soprattutto dei non iscritti con la logica della più ampi ed aperta partecipazione per discutere e cercare di migliorare il territorio. Con questi propositi il gruppo dei GD lavorerà in collaborazione con i GD provinciali spezzini e carrarini per cercare di dare un futuro migliore alla propria ed alle future generazioni.


giovedì 3 ottobre 2013

DOCUMENTO GD SULLA PARTECIPAZIONE

Noi, Giovani Democratici Carrara, abbiamo fortemente voluto affrontare il tema della partecipazione, approfondendo il progetto “OLTRE LE CIRCOSCRIZIONI”, di cui andremo ad analizzare brevemente la genesi e lo sviluppo.

Base normativa di tale progetto fu la Legge regionale 69/2007 sulla partecipazione e sui processi locali, meglio conosciuta come “Legge Fragai”, nome dell’allora Assessore regionale alle riforme istituzionali e al rapporto con gli enti locali.
La suddetta legge fu esempio di estrema lungimiranza politica per una serie di motivi: in prima istanza fu la prima a livello europeo a mettere al centro la partecipazione dei cittadini; in secondo luogo perché fu capace di superare uno statico sistema partitico senza scadere in quelle assurde idee di una democrazia diretta (come unica alternativa e come unico “rimedio” possibile alla democrazia rappresentativa) e di lotta perpetua contro chiunque faccia parte di un partito a cui, invece, il grillismo ha inneggiato e con cui, data l’esasperazione del popolo italiano, ha raggiunto determinati risultati elettorali.
La nostra precedente amministrazione comunale decise, nel 2011, di utilizzare gli strumenti messi a disposizione dall’assessore regionale per creare un sistema di organi che potesse superare le vecchie circoscrizioni che vennero eliminate dalla Finanziaria del 2010.
Proprio di questa scelta, noi GD, ne abbiamo parlato in una delle nostre riunioni (svolta a Settembre 2013) con Andrea Zanetti, ex Vice Sindaco, che si interessò dall’inizio del progetto e che lo portò a compimento con l’emanazione del regolamento (stilato attraverso un lavoro sinergico tra amministrazione e cittadini, organizzati in una giuria popolare) che avrebbe disciplinato in toto i nuovi organi.
Il progetto, dopo una fase di stallo, è oggi di nuovo oggetto di discussione all’interno dell’amministrazione e attendiamo fiduciosi che possa definitivamente prendere vita.

Andiamo, però, oltre gli aspetti tecnici di esso e, come già detto, analizziamone il dato e l’impatto politico.
Anche se non fu il primo esperimento in assoluto in questa direzione (Carrara affrontò con il sistema partecipativo anche la discussione sul waterfront), “OLTRE LE CIRCOSCRIZIONI” dimostrò, ancora una volta, l’importanza imprescindibile della partecipazione dei cittadini.
Siamo certi che quest’ultima, infatti, sia capace di ampliare la discussione, dando la possibilità a tutti di intervenire e, dunque, di sentirsi parte integrante della decisione politica che verrà presa.
Naturalmente è necessario capire che con il termine “partecipazione” non si deve intendere un qualcosa di fatto a caso, in cui si dà, in malo modo, la semplice e vuota possibilità di “urlare e sfogarsi”, senza concludere nulla; intendiamo, al contrario, un METODO vero e proprio che, dettando le modalità di discussione e fissando un fine ultimo ben preciso, riesca a dare la possibilità di un confronto reale, portando a conclusioni elaborate a cui, forse, la politica da sola potrebbe non arrivare.
Un esempio per capire cosa vogliamo intendere: la selezione dei membri della giuria popolare svolta in maniera completamente casuale (modalità che è parte integrante del sistema di partecipazione dei cittadini) mette in campo persone molto diverse tra loro che, a loro volta, mettono a disposizione del progetto risorse che spaziano moltissimo e che possono, dunque, dare ancora più forza alla discussione.

Detto tutto questo, noi GD Carrara riteniamo che sia doveroso, in questa fase in cui sono necessari nuovi metodi di lavoro e modalità politiche e in cui il cambiamento non è più una materia differibile, mettere seriamente e definitivamente la partecipazione al centro della politica e al centro della vita del nostro partito.
Quello che serve è confrontarsi e sviluppare una forma mentis ben precisa che riconosca realmente il ruolo determinante della partecipazione: solo con essa la politica potrà uscire dal baratro in cui pian piano è caduta; solo con essa potremo riavvicinarci ai cittadini e ridare quella fiducia che hanno perso; solo così potremo dimostrare che la politica non è lontana ma che, al contrario, la si può fare per e con i cittadini; solo con la partecipazione reale potremo, parlando internamente, salvare il nostro partito dalle derive politiche e personalistiche che hanno distrutto la nostra anima e hanno sconsacrato il nostro obiettivo iniziale; solo con essa i militanti si sentiranno ancora parte integrante di questo grande progetto chiamato Partito Democratico.

Proprio rimanendo in tema di partecipazione dei militanti al sistema partito, passiamo al secondo punto di questo documento:

LA PARTECIPAZIONE INTERNA ATTRAVERSO LA CREAZIONE DI CIRCOLI TEMATICI.

Sul tema della partecipazione, della sua struttura e dell'organizzazione del Partito Democratico, assume rilevanza centrale il futuro dei circoli territoriali.
Partiamo dal presupposto che nessuno mette in discussione l'importanza fondamentale che questi hanno nel dialogare con la "base" e nel promuovere iniziative sul territorio che altrimenti risulterebbero difficilmente realizzabili.
Dobbiamo però rilevare che la crisi del partito di massa ha travolto anche le "sezioni", riducendone il numero e, soprattutto, la partecipazione attiva dei militanti, con la conseguenza che questi risultano spesso scarsamente, se non del tutto, inoperanti: non è, però, questo il luogo per affrontare il complesso tema della crisi della partecipazione politica, intesa come fenomeno storico ormai di larga diffusione, non soltanto in Italia.
Appare piuttosto utile formulare una proposta che, sebbene non sia in grado da sola di arginare il crescente disinteresse per la politica, può certamente fornire nuova linfa alle strutture di base del partito.
Attualmente e in pura linea teorica il sistema prevede questo: i circoli vengono creati su base territoriale, ogni circolo si occupa del proprio quartiere e ne affronta tutte le tematiche; nella realtà, però, spesso accade che i circoli non abbiano iscritti (e soprattutto militanti attivi) sufficienti per discutere seriamente e con le dovute competenze di temi che spesso hanno una rilevanza notevole: accade, così, che le riunioni di circolo si riducano spesso a luoghi dove esprimere liberamente la propria opinione oppure liberare la propria rabbia, senza però un effettivo riscontro in termini di utilità politica.
Per questo proponiamo che, non in sostituzione dei circoli territoriali, bensì al loro fianco, vengano creati dei circoli tematici, in grado di occuparsi in modo specifico dei più importanti temi locali, intercettando le migliori competenze del partito in quello specifico settore e, magari, chiamando in causa anche esponenti esterni al partito (la ormai troppo spesso invocata società civile) in grado di dare il loro contributo.
Questa parziale ristrutturazione della struttura di base del partito è già stata adottata, suscitando notevole interesse, da diverse federazioni del PD.
Questo assetto, a nostro avviso, avrebbe il duplice vantaggio di stimolare la partecipazione di chi è interessato ad occuparsi di temi specifici e, dall'altro, rappresenterebbe un prezioso punto di riferimento per i dirigenti del partito che, dovendosi occupare in prima persona di quegli stessi temi, avrebbero una struttura con la quale rapportarsi e dialogare.
Ovviamente i circoli tematici dovrebbero essere diversi a seconda del luogo dove sorgono, pertanto, a nostro avviso, a Carrara sarebbe imprescindibile un circolo tematico che si occupi del marmo e di tutte le tematiche ad esso collegate
Una struttura di questo tipo, che ribadiamo non sarebbe alternativa a quella attuale ma complementare ad essa, sarebbe un primo punto di partenza per ripristinare quella partecipazione dal basso e quel dialogo tra vertice e base che viene da tempo indicata, da tutti, come elemento imprescindibile per il rilancio del Partito Democratico.
E' evidente, infatti, che il modello attuale di organizzazione non risponde più alle richieste di partecipazione dei militanti del partito i quali, con strumenti diversi (primo tra tutti le primarie) vogliono essere parte integrante delle decisioni e della formazione del Partito Democratico.
Per questo pensiamo che questo obiettivo possa essere raggiunto anche, ma non soltanto, attraverso una riorganizzazione delle strutture di base del partito, passando da quella attuale, esclusivamente territoriale, ad una mista che prevede anche circoli tematici.





IL SEGRETARIO DEI GD CARRARA,  MARIO TAURINO;
IL RESPONSABILE ALLA COMUNICAZIONE, MICHELE VANOLLI


I GIOVANI DEMOCRATICI DEL COMUNE DI CARRARA.

lunedì 9 settembre 2013

Riflessioni sulla crisi in Siria


Ho saputo che i vertici dei GD hanno adottato una posizione critica rispetto un intervento militare in Siria. Io non sono ancora riuscito a prendere una posizione precisa. Il conflitto in Siria è estremamente complicato, vede coinvolti molteplici protagonisti i cui interessi talvolta si incrociano creando strane e improbabili alleanze. Inoltre è difficile trarne informazioni concrete, riconosciute come vere da tutte le parti;  ancora troppi sono i retroscena su cui bisogna fare pienamente luce. Mi limiterò quindi ad esporre qualche riflessione sull’argomento.
Questo conflitto iniziato nel 2011 è stato per anni messo in secondo piano. Dapprima è rimasto all’ombra della guerra civile in Libia, ritenuto dai media e dai governi occidentali più importante dato l’impatto che il conflitto aveva sull’opinione pubblica sia per le maggiori dimensioni sia per la vicinanza. Una volta risolto questo conflitto ci siamo comunque scarsamente interessati alla Siria, abbiamo preferito guardare dall’altra parte sperando che le cose si risolvessero da sole. Purtroppo le cose non si sono risolte. Piuttosto, anche grazie al disinteresse dell’Occidente il conflitto si è complicato all’inverosimile, ed il numero dei morti è salito a oltre 110.000. Non tutti però nel resto del mondo si sono disinteressati. La Russia ha deciso di appoggiare seppure non militarmente (non direttamente, almeno per ora) il regime di Assad, difendendolo all’interno delle Nazioni Unite da eventuali risoluzioni punitive proposte dagli USA, e fornendo armi all’Esercito Siriano. Come la Russia anche la Cina e l’Iran difendono il regime di Assad.
Sull’altro fronte invece la Coalizione Nazionale Siriana a maggioranza sunnita ha trovato un all’alleato concreto nell’Arabia Saudita da cui ha ricevuto finanziamenti e l’appoggio dei Mujaheddin. Israele è più volte intervenuto militarmente nel conflitto con raid aerei contro l’esercito siriano  ma solo per colpire obbiettivi da cui si sentiva direttamente minacciato come convogli di armi diretti agli arsenali di Hezbollah (organizzazione terroristica sciita libanese legata al regime di Assad e all’Iran). Il CNS ha ricevuto appoggio, seppur su un piano diplomatico, anche da parte di alcuni paesi europei, Francia in primis, ma soprattutto  dagli Stati Uniti che, se il governo Obama riceverà l’appoggio del Congresso, potrebbero prendere parte attiva contro nella lotta al regime.
Ovviamente sorge spontaneo chiedersi cosa farà o cosa dovrebbe fare l’Italia. Innanzitutto bisogna chiedersi perché gli Stati Uniti vogliano intervenire, quali sono i loro interessi, e considerare se i loro interessi possono essere anche i nostri. Stando ai piani ufficiali resi noti del governo americano, le intenzioni dell’amministrazione Obama sembrerebbero volersi limitare a condurre una campagna di bombardamenti mirati alcuni obbiettivi strategici dell’Esercito Siriano al solo scopo di punire  un regime colpevole di avere usato armi chimiche contro il proprio popolo. L’intenzione di punire il dittatore per l’impiego di armi chimiche è probabilmente la motivazione ufficiale ma non quella effettiva: da sola infatti non basterebbe a spiegare l’improbabile alleanza, in tale teatro di guerra, con  Al Quaeda, contro cui gli USA da più di 10 anni conducono una lotta senza quartiere. Una spiegazione potrebbe essere che se Assad ne uscisse vincitore la Siria potrebbe ritornare sotto la sfera di influenza Russa riportando gli equilibri geopolitici nel mediterraneo e nel Medio Oriente indietro di oltre 20 anni, cioè come prima della fine della Guerra Fredda.  Un’altra potrebbe essere che colpire il regime Siriano sia la prima mossa per arrivare a colpire l’Iran,  storico alleato dello sciita Assad. L’Iran è infatti ormai prossimo alla fabbricazione di armi nucleari, grazie alle quali vedrebbe enormemente aumentare il proprio peso sul piano internazionale, eventualità che andrebbe fermata prima che sia troppo tardi. Un’altra spiegazione ancora potrebbe essere quella di voler controllare le sorti del dopoguerra siriano, riducendo  l’importanza che gli estremisti religiosi hanno avuto nella guerra di liberazione e riuscendo così ad emarginarli dal processo di pace e dal futuro governo della Siria. Sorge spontaneo anche chiedersi se quella siriana sia a tutti gli effetti una guerra di liberazione o magari, anche  se inizialmente è nata come tale, si sia trasformata in una guerra di religione tra sciiti e sunniti. Sarebbe imbarazzante per dei paesi occidentali trovarsi invischiati in una guerra di religione araba, schierati oltretutto al fianco dei terroristi mujaheddin.
L’Italia senza l’avvallo dell’ONU non interverrà direttamente nel conflitto. Con buona probabilità però ne potrebbe rimanere coinvolta in Libano dove il contingente italiano e quello di altre nazioni è schierato per salvaguardare la pace. Hezbollah potrebbe infatti tentare come risposta all’attacco americano contro l’amico Assad una rappresaglia verso Israele costringendo i militari italiani ad intervenire. Un altro problema legato alla Siria non indifferente per l’Italia è rappresentato dalla enorme massa di profughi che si riverserà sulle nostre coste fintanto che durerà la guerra.

Non ho ancora avuto modo di capire le ragioni, probabilmente valide, che hanno portato vertici dei GD ad adottare una posizione di non intervento/pacifista rispetto al conflitto; vorrei però che si prenda in considerazione che a differenza di quando gli Stati Uniti dichiararono a torto guerra all’Iraq oggi il conflitto esiste già, ha già fatto 110000 vittime e altrettante potrebbe ancora farne. Questa guerra civile non offre soluzioni diplomatiche, e irrimediabilmente può finire solo con l’eliminazione dei vertici dell’una o dell’altra fazione. Un intervento occidentale per porre fine al conflitto potrebbe fare meno morti che non lasciare  alla guerra fare il suo corso.

LUCA LORENZINI.
Delegato dei GD Carrara al Gruppo GD Regionale "Euro 2014".