Le politiche ambientali hanno un’importanza
fondamentale ed è per questo motivo che, come gruppo GD Carrara, non abbiamo
potuto fare a meno di rivolgere particolare attenzione a questo ambito: siamo ben
consci del fatto che, ad oggi, la sensibilità della politica a riguardo del
tema sia scarsa ma crediamo che, al contrario, un incremento di attenzione e
l’attuazione di politiche ambientali serie e strutturate siano elementi necessari,
capaci sia di ridare lustro al nostro paese (che potrebbe trovare nuovo vigore
nella tutela delle ricchezze del proprio paesaggio) sia di portare a un
miglioramento netto della qualità della vita della nostra popolazione.
Riteniamo, inoltre, necessario che il nostro partito
renda proprio il tema dell’ambiente: abbiamo il dovere di essere “piloti” anche
in questo caso e il fatto che il nostro Andrea Orlando abbia in mano il
Ministero dell’Ambiente dev’essere ulteriore stimolo per proporre e lavorare in
quest’area.
Concentrandoci sul nostro territorio, a seguito
degli eventi calamitosi avvenuti nel mese di Novembre 2012, abbiamo ritenuto
opportuno approfondire il problema sempre più allarmante del rischio idrogeologico:
oltre ad affrontare diverse discussioni all’interno dei circoli del Partito
Democratico locale sugli accadimenti sopracitati, la nostra idea consiste nel
trovare possibili soluzioni capaci di valorizzare il nostro territorio,
diminuendone la fragilità idrogeologica.
Analizziamo le maggiori criticità emerse da tali
discussioni.
1)
In
quasi tutti gli interventi dei nostri militanti è emerso un fattore comune (che
abbiamo già accennato precedentemente) e cioè la mancanza di sensibilità a
riguardo dell’ambiente. In generale, abbiamo constatato: carenze da parte delle
amministrazioni che si sono succedute; una scarsa informazione sulla situazione
ambientale e sulle reali potenzialità delle fonti di energia alternativa; la
necessità di lavorare affinché anche l’istruzione possa trovare nuovi strumenti
per creare un vero e proprio background culturale sull’ambiente e, infine, l’urgenza di ridare “respiro” all’ambiente,
poiché il tema è in stretta relazione con la salute e, dunque, con la nostra
vita.
2)
Anche
se gli eventi climatici verificatisi nello scorso Novembre hanno registrato
quantità di pioggia da record, abbiamo constatato che sia ormai insensato
parlare di totale eccezionalità di questi fenomeni, poiché essi si ripetono
quasi ciclicamente almeno una volta all’anno: a nostro parere, e secondo quello
di molti altri, sarebbe più opportuno parlare di “regolarità di eventi anomali”;
nello specifico i dati delle alluvioni di Novembre sono allarmanti poiché
nell’arco di sole due settimane i dati
registrati sono i seguenti: con l’alluvione dell’ 11/12 Novembre si sono avute
punte di oltre 280 mm di pioggia caduta nell’arco di 4 ore; durante quella del
27/28 Novembre, invece, la stazione CFR di Carrara ha registrato 183 mm di
pioggia caduta in poco meno di due ore (e la vicina stazione di della rete
amatoriale di meteoapuane.it ha registrato
valori pressoché identici). Durante l’evento sono stati registrati dei picchi
di rain rate (che misura la velocità di accumulo in mm/h di pioggia) compresi
tra i 300 e i 500 mm/h. Tirando le somme, nel giro di soli 15 giorni (e forse
questo è il dato maggiormente sensazionale) sono caduti 494.5 mm a fronte di
una media annua di circa 1200 mm[1].
Premesso
questo, risulta essere quasi naturale la necessità di una programmazione a
lungo termine da un punto di vista degli investimenti, che vada dalla zona
monti a quella a mare. Diciamo questo per diversi motivi: in prima istanza, confrontando
i costi di messa in sicurezza con quelli di prevenzione è evidente che i
secondi permetterebbero eccezionali risparmi; in secondo luogo, la messa in
sicurezza non basta specie se l’area è a elevato rischio, non dimenticando il
fatto che Carrara, a prescindere da alluvioni eccezionali, è riconosciuta come
una delle zone più piovose d’Italia. Naturalmente siamo consci sia del livello
di urbanizzazione attuale sia dell’impossibilità di tornare totalmente indietro
e per questo vogliamo mettere in luce l’impellente necessità di bloccare
l’urbanizzazione coatta del territorio e dove possibile procedere alle
stombature. Sarebbe, dunque, doveroso incentivare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, senza andarvi oltre. Un esempio: la zona di Avenza, più
bassa di Marina, è paludosa e riteniamo che sia paradossale continuare a
cementificare.
3)
Necessità
di una manutenzione costante di corsi d’acqua principali e secondari, canali e
fossi. Dalle discussioni sono emersi i deficit della rete fognaria e riteniamo
che un intervento anche in questo senso non sia ulteriormente rimandabile.
4)
Rivalutazione
del paesaggio come volano della ripresa economica e stimolo per il turismo. In
particolare è emersa la proposta di ripartire da una rivalutazione dei percorsi
montani che possono divenire un fiore all’occhiello della nostra città.
5)
Abbiamo
voluto focalizzarci sulla parte a monte del nostro territorio che, nel corso
degli anni, ha subito un lento e costante abbandono sia politico che ambientale,
a cui ha fatto seguito un rapido degrado che incide su una zona che, per cause
naturali (morfologia del territorio) e antropiche (cave di marmo), è a forte
rischio idrogeologico: ciò l’ha resa una vera e propria “bomba a orologeria”.
Uno
dei maggiori effetti causati dal degrado e dall’incuria in cui versa il nostro
territorio (in particolare l’area boschiva) è un’aumentata incidenza di fenomeni
di dissesto del suolo: alla luce di questo, è quanto mai importante che si ricominci
(o si inizi seriamente) a pensare a delle politiche che prevedano un completo
recupero di queste aree, al fine di limitare i danni causati da fenomeni meteo
estremi, poiché tali danni si ripercuotono, nel tempo, su tutto il nostro
territorio. Chiaramente in un periodo di grave crisi economica come quello che
stiamo vivendo, in cui il trasferimento di fondi dallo stato ai vari livelli
amministrativi è ridotto all’osso, risulta difficile pensare a delle politiche
di recupero e valorizzazione ambientale completamente a carico di questi
ultimi; per questo motivo, abbiamo pensato che sia necessario dare vita ad una
collaborazione pubblico – privato, capace di incentivare la nascita di piccole
realtà lavorative come, per esempio, cooperative agricole gestite da giovani:
in questo modo si riuscirebbe a unire il recupero del nostro patrimonio
ambientale montano (in particolare la fascia collinare) con una concreta
possibilità di creare un piccola rete economica locale capace, a sua volta, di
creare opportunità lavorative.
Nello
specifico la collaborazione pubblico-privato potrebbe coinvolgere le imprese
del territorio e associazioni private.
Oltre
alla sopracitata collaborazione, altra risorsa potrebbe essere la fruizione di
cofinanziamenti europei dedicati a questo specifico settore o, altrimenti,
sfruttare al meglio le tante risorse ripartite dalla Regione alle comunità
locali: il punto di partenza, comunque, resta il medesimo e cioè la necessità
di un cambio di passo della politica nei riguardi del tema ambientale; una
volontà politica nuova che possa tradursi in progettualità e in un impegno
concreto, nonché nel massimo sostegno nei confronti di quei privati che
vorranno investire in questo settore.
6)
Altre
proposte:
I)
Compostaggio.
Partiamo
da un presupposto importante: Circa il 30% del volume dei rifiuti conferito in
discarica è rappresentato dall’umido ed è questo il motivo principale per cui
esso deve essere riciclato.
La
migliore soluzione per lo smaltimento dei rifiuti umidi è il compostaggio, che
contribuisce a risolvere 2 gravi problemi:
-
lo
smaltimento del rifiuto umido;
-
il
progressivo impoverimento di sostanze organiche nei suoli agricoli, causato
dall'utilizzo intensivo del suolo.
Il
compostaggio è un processo in cui i residui organici sono trasformati in
compost dai batteri già presenti naturalmente e porta alla formazione di un
ottimo ammendante agricolo.
Per
ottenere compost di qualità, le fasi del compostaggio devono essere seguite,
facendo attenzione ad alcuni parametri come la temperatura, l’umidità,
l’ossigenazione: il controllo di questi parametri è fondamentale per l’attività
microbica che consente la degradazione biologica della sostanza organica.
Utilizzo: il compost può essere reimpiegato nell’orto o giardino di casa e in agricoltura; il suolo ha sempre più bisogno di sostanze organiche per riacquistare l’equilibrio perduto.
Quali scarti è
possibile conferire nel rifiuto umido: molto spesso pensiamo solo alla
verdura andata a male o alle bucce della frutta, ma, in realtà, le sostanze
ascrivibili tra quelle umide sono molte di più, in particolare:
- scarti di cucina
- avanzi di cibo
- alimenti avariati
- gusci d’uovo
- scarti di verdura e frutta
- fondi di caffè
- filtri di the
- escrementi, lettiere di piccoli animali domestici
- fiori recisi e piante domestiche
- pane vecchio
- salviette di carta unte
- ceneri spente di caminetti
- piccole ossa e gusci di cozze
L'ultimo
elemento da tenere presente è che lo smaltimento del rifiuto umido, attraverso
il compostaggio, rende più facile recuperare i materiali “secchi” utili al
riciclaggio quali carta, vetro, plastica, metalli, ecc. che non vengono più
mescolati con l'umido e sono più semplici da dividere.
Come smaltire
l'umido:
la proposta è quella di distribuire gratuitamente ai cittadini che ne facciano
richiesta un bidone per il compostaggio da 310 litri (vedi progetto del comune
di Massa), corredato materiale informativo per il corretto utilizzo.
II)
Recupero Oli
esausti
L’olio
usato è un pericoloso inquinante, sia che si tratti di lubrificanti per i
motori di auto, moto o veicoli industriali sia che si tratti di olio vegetale
usato in cucina per friggere o per conservare gli alimenti: è necessaria una
corretta procedura di raccolta e smaltimento, seguita da una possibile
rigenerazione capace di dare il là a nuovi utilizzi.
Per
garantire tutto questo esistono due consorzi nazionali: il Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati che, da 28 anni, garantisce
in tutta Italia la raccolta e il riutilizzo dell’olio lubrificante usato; in
secondo luogo, sugli oli a uso alimentare, ha competenza (dal 1998) il Consorzio obbligatorio nazionale di raccolta
e trattamento degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti, che assicura
su tutto il territorio nazionale il trasporto, lo stoccaggio, il trattamento e
il recupero della filiera di oli e grassi esausti ai fini ambientali a tutela
della salute pubblica e per diminuire progressivamente la dispersione,
riducendo così l’inquinamento.
I pericoli
legati al cattivo smaltimento: l’olio motore è un rifiuto pericoloso
e, se smaltito in modo scorretto o impiegato in maniera impropria, può essere
altamente inquinante.
Se
viene versato sul terreno impedisce all’acqua di raggiungere le radici
capillari delle piante, impedendo l’assunzione delle sostanze nutritive e può
raggiungere la falda freatica formando uno strato che si sposta con la falda
stessa e può raggiungere pozzi di acqua potabile causando gravi conseguenze
alla salute pubblica.
Se
disperso in acqua, invece, crea una patina sottile e impermeabile che impedisce
alla flora e alla fauna sottostante di respirare: 4 chili di olio usato se
versati in mare inquinano una superficie grande come un campo di calcio.
Se,
invece, viene bruciato impropriamente, l’olio usato immette nell’atmosfera
sostanze tossiche inquinanti in grado di determinare intossicazioni e malattie.
L’olio
di frittura usato, al contrario di quanto si potrebbe pensare, ha tempi di
degradazione in natura che sono piuttosto lunghi e quindi dannosi per l’ecosistema:
se disperso tramite gli scarichi e le fognature di casa, va a inquinare l’acqua
impedendo ai raggi solari di penetrare causando ingenti danni all’ambiente (un
chilo di olio di frittura esausto, può rendere non potabile l’acqua delle
falde, arrecando gravi danni anche al funzionamento dei depuratori; se smaltito
nel terreno ha le stesse conseguenze dell'olio motore)
Per
questi motivi sia gli oli usati per i motori che quelli usati in cucina devono
essere smaltiti in maniera appropriata, raccolti in contenitori opportuni e non
gettati semplicemente nei bidoni della raccolta indifferenziata: la loro
raccolta e il loro trattamento al fine del recupero devono essere svolti da
aziende specializzate che fanno capo ai due Consorzi nazionali.
Come viene
recuperato l'olio usato: la raccolta di olio usato non contribuisce solo
alla protezione dell’ambiente.
Occorre,
infatti, considerare anche i vantaggi economici: gran parte del lubrificante
raccolto viene utilizzato negli impianti di rigenerazione come materia prima
per produrre nuovo olio base - con le stesse caratteristiche di quello
originario - gasolio, combustibile e bitume.
L’olio
usato non rigenerabile viene, invece, inviato a impianti industriali
autorizzati - principalmente cementifici - dove è utilizzato come combustibile,
in sostituzione soprattutto di carbone e coke.
L’olio
usato ha potere calorifico di 9.500 kcal/kg, simile a quello del normale olio
combustibile. Solo una piccolissima parte di olio non riutilizzabile (pari allo
0,2% del totale), perché irrimediabilmente inquinato, viene avviata a
termodistruzione, che viene svolta rispettando le normative vigenti sulle
emissioni inquinanti in atmosfera.
La
rigenerazione ha anche un alto rendimento: da 100 kg di olio usato si possono
ottenere circa 65 kg di olio base rigenerato e 20/25 kg di gasolio e bitume,
consentendo così un risparmio significativo sulla bolletta energetica italiana.
Infatti circa il 25% del mercato delle basi lubrificanti in Italia è costituito
da basi rigenerate.
In sintesi, il riutilizzo
dell’olio lubrificante usato ha consentito un risparmio complessivo sulle
importazioni di petrolio del Paese di circa 2,9 miliardi di euro: in questo
specifico settore l’Italia è leader europea con una percentuale degli oli
rigenerabili pari all'88,6% (per intenderci: la Germania è al 26% mentre la
Francia raggiunge il 44%).
Come effettuare
la raccolta:
nonostante questa attenzione, testimoniata dai dati, non esistono modalità
omogenee sul territorio nazionale di raccolta degli oli vegetali usati.
Sono
presenti diverse possibilità di raccolta differenziata per i cittadini ma ogni
azienda sceglie diverse metodologie. In generale è opportuno che i cittadini
raccolgano in recipienti l’olio usato per la cottura, quello presente nei
barattoli di verdura sott’olio ma anche quello nelle scatole di tonno. In
alcuni casi i contenitori più adatti (per lo più taniche) vengono forniti dalle
aziende locali di raccolta rifiuti ma possono essere anche richiesti alle
aziende che effettuano per conto del CONOE la raccolta e il trattamento degli
oli esausti.
La nostra
proposta
è di studiare la possibilità di installare bidoni per la raccolta degli oli su
tutto il territorio comunale accanto alla distribuzione ai cittadini delle
taniche o brocche per la raccolta casalinga degli oli.
Anche
in questo caso è necessaria una campagna di sensibilizzazione dei cittadini
rispetto alle problematiche legate al cattivo smaltimento degli oli e
all'utilizzo dei bidoni e dei contenitori.
Sarebbe
utile capire insieme ad AMIA o chi per lei se il comune può avere un ritorno
economico dal corretto smaltimento e riciclo/rigenerazione degli oli.
7)
Nelle
discussioni sono emersi sia progetti a cui potersi ispirare sia progetti
iniziati e mai conclusi.
Nella
prima categoria possiamo inserire, per esempio, il progetto pilota della
Lunigiana, svolto insieme alla Regione Toscana, con cui si rovescia
completamente il sistema urbanistico classico: valutare cosa sia fattibile in
base allo stato di ‘salute’ dell’ambiente; inoltre, tale progetto pone come
cardine la valorizzazione proprio del patrimonio boschivo.
La
buona riuscita di tale progetto ci porta a una importante riflessione: la
fattibilità di un piccolo progetto come questo è evidente, e si contrappone con
quelle macro-opere, su cui soprattutto la destra ha voluto investire, che,
oltre a non essere mai state concluse, hanno comportato un enorme dispendio
economico e la risultante di tali lavori è stata costantemente zero sotto ogni
punto di vista; in parole povere e chiare riteniamo che sia necessario pensare
in piccolo, ma che questi progetti siano fattibili e soprattutto funzionali.
Passando
alla seconda categoria e cioè quella riguardante i progetti iniziati e mai
conclusi, nelle discussioni abbiamo avuto la possibilità di affrontare il caso
dell’ “oasi di Campocecina” dove, negli anni Settanta, ci fu la volontà di
creare un piano regolatore del bosco, accompagnato da una piccola cooperativa
per la gestione del territorio in questione: anche in quel caso il blocco fu la
naturale conseguenza di un disinteresse politico, o più in particolare, della decisione
dell’amministrazione di dedicarsi ad altre progettualità, ritenute
evidentemente prioritarie.
Abbiamo
anche toccato il tema della manutenzione dei boschi, al quale è stata dedicata,
recentemente, una commissione che si è
concentrata sulla manutenzione dei c.d. ‘frontisti’: il problema emerso è stato
quello di una totale confusione a riguardo delle competenze di tali boschi ,
intrecciata alla questione degli ‘eredi’ dei terreni; resta il fatto che se la
provincia in un qualche modo ha abbozzato progetti, il nostro comune è rimasto
praticamente bloccato da sempre.
8)
Proprio
nella direzione della nostra proposta, si muovono le nuove direttive della
regione Toscana, che con l’approvazione del P.D.L. 195, diventato legge il 27
dicembre 2012, che istituisce l’ente “Terre Regionali Toscane” e la “Banca
della Terra”, si pone l’obiettivo di favorire la formazione di giovani
agricoltori per contrastare il sempre più frequente fenomeno dell’abbandono dei
terreni agricoli e rurali e delle produzioni alimentari toscane, note in tutto
il mondo.
La
“Banca della Terra”, in primis, che racchiude
l’inventario completo di tutti i terreni e aziende agricole di proprietà
pubblica e privata, pur mantenendo sempre la centralità del ruolo delle
cooperative, prevede l’assegnazione dei terreni disponibili attraverso varie
forme contrattuali, in base a rapporti di deposito, prestito o intermediazione.
La
cooperativa di conferimento può, dunque, candidarsi a coltivare direttamente il
terreno mentre il vecchio socio con feritore si ritira, affidando il proprio terreno
alla cooperativa stessa; la seconda ipotesi prevede, invece, la possibilità di promuovere
la costituzione di un’apposita azienda agricola per la conduzione dei terreni
ammettendola come socia, la quale dovrà poi conferirle i propri prodotti;
infine, la cooperativa di conferimento può proporre di svolgere per i propri
soci un’attività di intermediazione fondiaria, favorendo l’incrocio tra la
domanda e l’offerta dei terreni in abbandono.
In
seconda istanza, l’ente pubblico “Terre Regionali Toscane” sarà, invece,
dipendente dalla regione e permetterà di gestire in maniera più razionale ed
efficace tutto il patrimonio fondiario toscano e rappresenterà inoltre uno
strumento importante per la gestione dei boschi in maniera sostenibile e per
effettuare operazioni di green economy.
Come
GD Carrara riteniamo quindi necessario e doveroso sfruttare gli strumenti messi
a disposizione dalla regione Toscana, per incentivare la nascita di attività di
questo tipo anche sul nostro territorio e le motivazioni sono molteplici: da
una parte, per dare risposta, magari anche in misura ridotta, alla enorme
richiesta di posti di lavoro, dall’altra, per far uscire dal degrado e
dall’abbandono il nostro ambiente rurale che, insieme al territorio nella sua
interezza, costituisce quello che per eccellenza chiamiamo BENE COMUNE.
9) Dalle
discussioni è emersa l’esistenza di un documento stilato dalla nostra
segreteria provinciale nel 2011, dal quale abbiamo voluto estrarre alcune frasi
per dimostrare come il nostro progetto sia un qualcosa di già analizzato ma di
cui ancora mancano tracce:
“ ….. Ciò comporta un'attenta valutazione dell'ordine di priorità degli
interventi che delle metodologie tecniche da utilizzarsi che dovranno essere
appropriate ed efficienti secondo le più avanzate metodiche offerte dalla
disciplina in materia. Ciò significa definire adeguati strumenti di valutazione
e progettazione, strutture di coordinamento e di monitoraggio, anche sui costi
oltreché sulle priorità su cui intervenire. Occorrerà infine promuovere, nelle
forme più opportune, politiche di coinvolgimento e partecipazione rispetto alle
popolazioni coinvolte, le quali hanno pieno diritto di conoscere e contribuire
alla determinazione degli ambienti determinanti la loro stessa vita”.
“…. Un elaborazione che aiuti anche a far sì che i territorio non venga
riprodotto sempre secondo logiche aliene alle particolarità delle strutture
ambientali che lo caratterizzano, ma che questo venga conformato anche secondo
le compatibilità dell'ambiente ospitante e con tecniche appropriate e con costi
sostenibili…..”.
“….Tecnici pubblici, professionisti privati, sistema delle imprese, in
particolare edili ed agricole, dovranno confrontarsi, organizzarsi e formarsi
rispetto ai nuovi bisogni che emergono dalle nuove problematicità ambientali,
innalzando la qualità complessiva dei sistemi atti alla loro gestione. Il
compito più impegnativo comunque risulta costituito dall'adeguamento degli
strumenti della pianificazione territoriale atti a presiedere la crescita
urbana e le politiche di sviluppo sostenibile…..”[2].
Chiediamo, dunque, che di
questo importante documento inizino a vedersi frutti reali e tangibili.
Il segretario GD Carrara, Mario
Taurino.
Il responsabile alle politiche
ambientali della segreteria GD Carrara,
Emanuele Giampedroni.
I Giovani Democratici del Comune di
Carrara.